Urlo questi versi dal
Ventre del serpente d’acciaio,
sperando che un orecchio
più fine li accolga
nei timpani.
Compagni,
non attendete pazienti
che il mostro meccanico
vi inghiotta con
le sue innumerevoli fauci.
Compagni,
vi prego, non siate le
sue ignare pietanze nei
suoi infiniti banchetti che
chiaman fermate.
La sua inesauribile
fame vi renderà
scherno dei giorni a
venire, quando il vostro
destino sarà fatto men
che rotaie e d’improvviso sarete
dietro le sbarre di
orari crudeli.
È troppo tardi per
me, poeta sconfitto,
costretto, da capolinea a
capolinea, ad essere eroso
e diventare un anonimo
bullone nei binari del fato.
Compagni,
ascoltate:
siate sempre tempesta e
praterie sconfinate.
Mi sembra di ricordare il Chatwin della “via dei canti” .
Molto bella ottima scelta😉